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Alce Nero parla

adelphi

di Silvia Franza, allieva del master “Il lavoro editoriale” 2025

Nell’agosto del 1930 l’etnografo e scrittore norvegese John G. Neihardt raggiunse le montagne del Big Horn per incontrare Alce Nero, stregone della tribù Oglala dei Sioux e cugino del grande guerriero Cavallo Pazzo. Ormai vecchio e semicieco, Alce Nero, nella primavera del 1931, tenne una lunga serie di conversazioni, durante le quali lo scrittore fu scelto per custodire e salvare il ricordo della Grande Visione, trasponendo in forma scritta questa prodigiosa testimonianza.

Alce Nero parla[1] è uno spaccato biografico lungo quasi vent’anni, dall’anno della visione (1872), avuta all’età di nove anni, al genocidio di Wounded Knee (1890) di cui fu testimone, durante il quale quasi trecento Sioux, molti dei quali donne e bambini, vennero uccisi dai soldati americani. Le parole sono quelle sagge e disilluse di un uomo giunto ormai alla fine della sua vita, la cui storia, raccontata con profondo senso autocritico, è quella di un intero popolo e della sua voce lacerata e nullificata dai bianchi, avidi materialisti e ladri di una terra che hanno massacrato.

La prima pagina del libro è un encomio alla vita e alla natura, il succo della cultura di un popolo custode dei segreti del mondo:

Amico, ti racconterò la storia della mia vita, come tu desideri; e se fosse soltanto la storia della mia vita credo che non la racconterei […]. È la storia di tutta la vita che è santa e buona da raccontare, e di noi bipedi che la condividiamo con i quadrupedi e gli alati dell’aria e tutte le cose verdi; perché sono tutti figli di una stessa madre e il loro padre è un unico Spirito.[2]

Così ha inizio la testimonianza di Alce Nero e il racconto della Grande Visione, che plasmò il corso della sua vita, facendolo diventare un uomo di medicina e investendolo di un ruolo profetico: salvare il cerchio della Nazione, e cioè l’intera manifestazione cosmica, simbolo di perfezione e compiutezza. Nell’arco di tutta la storia, le vicende che si susseguono porteranno lo stregone a comprendere l’impossibilità di un destino felice per il suo popolo. L’immagine dell’albero fiorente al centro del cerchio si tradurrà sempre più in un albero spoglio, fino alle ultime lapidarie parole, che chiudono la testimonianza di Alce Nero: «Il cerchio non ha più centro e l’albero sacro è morto»[3]. Ma al tragico epilogo segue l’ultimo miracolo dello stregone Sioux, la cui potenza spirituale è rivelata davanti gli occhi increduli di Neihardt, a testimonianza che un legame autentico con la natura non può mai veramente essere spezzato.

            Con un linguaggio evocativo e nostalgico, Alce Nero mostra al lettore una cultura lontana e affascinante, intrisa di una spiritualità magica, ma reale. L’unione con la natura è concreta e la si percepisce nei nomi dati alle stagioni – la «Luna Quando Appare l’Erba Rossa»[4] indica aprile – e ai singoli personaggi, nei modi di dire – «tutto fu come il soffiare del vento»[5], inutile –, nelle danze, nei canti e nel potere del cerchio:

Il cielo è rotondo, e ho sentito dire che la terra è rotonda come una palla, e così sono le stelle. Il vento, quando è più potente, gira in turbini. Gli uccelli fanno i loro nidi circolari, perché la loro religione è la stessa nostra. Il sole sorge e tramonta sempre in un circolo. La luna fa lo stesso e tutt’e due sono rotondi. Perfino le stagioni formano un grande circolo, nel loro mutamento, e sempre ritornano al punto di prima. La vita dell’uomo è un circolo, dall’infanzia all’infanzia, e lo stesso accade con ogni cosa dove un potere si muove.[6]

L’arrivo dei bianchi non solo coincide con la fine di una Nazione, bensì con la fine di una religione. Le case quadrate in cui abitiamo – le «scatole» di cui parla Alce Nero –, spezzano la linearità del circolo, ci fanno dimenticare che la vita è una e ha uguale valore per tutti gli esseri viventi.

            Leggere Alce Nero parla non significa unicamente conoscere la storia di un popolo e gli eventi che ne hanno segnato la caduta, comporta un’immersione ancestrale nel mistero di ogni cosa, e come la connessione col «Grande Spirito», la vita, possa essere autentica e tangibile, se soltanto ci fermassimo ad ascoltare.


[1] J. G. Neihardt, Black Elk Speaks, Being the Life Story of a Holy Man of the Oglala Sioux, New York, Wiliam Morrow & Company, 1932, trad. it. Alce Nero parla, Milano, Adelphi, 1968.

[2] Ivi, p. 3.

[3] Ivi, p. 275.

[4] Ivi, p. 69.

[5] Ivi, p. 85.

[6] Ivi, pp. 197, 198.

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