Il personaggio femminile nella narrativa per ragazzi/e da Sherazade a Bianca Pitzorno: nuovi ruoli, bambine coraggiose e sottile matriarcato[1].
di Francesca Marranzano, allieva del master “Il lavoro editoriale” 2025
Nel vasto universo della letteratura per ragazzi/e, spesso la figura femminile è stata indagata con la prospettiva dello stereotipo e della marginalità. Eppure, proprio in questo spazio narrativo si sono depositati indizi di una trasformazione lenta ma profonda. Dalla fiaba classica alla letteratura degli anni ’70 del Novecento, si può rintracciare l’incipit di un processo di re-iscrizione dei ruoli femminili, dove archetipi e personaggi appaiono sotto nuove forme: talvolta come presenze materne e salvifiche, talvolta come matrigne spietate, altre come giovani donne coraggiose. I prolifici studi condotti negli anni da specialisti/e del settore ci guideranno in questa breve rilettura di scritture che aprono una riflessione attuale su identità, potere e possibilità.
Nella tradizione della fiaba troviamo tracce dell’intreccio tra femminino e potere salvifico, dove si delinea l’emergere di un matriarcato prudente ma potente. Nelle Mille e una notte Sherazade sospende il ciclo di violenza del sultano, la narrazione si trasforma in atto di salvezza collettiva e l’intelligenza narrativa sostituisce la brutalità.

Sherazade spezza un doppio vincolo: quello di una tradizione misogina del matrimonio e quello di una narrazione a voce unica, dominata dalla figura patriarcale. Anche nelle fiabe europee più note si cela una tensione simile. In Cenerentola, nella versione dei fratelli Grimm del 1812, la figura del padre è assente o ininfluente. È una storia governata da donne che vagliano le sfumature della rappresentanza femminile nella fiaba: la matrigna crudele, le avide sorellastre, la giovane paziente e umile. Il potere decisionale, nel bene e nel male, è nelle loro mani. La salvezza non arriva da una figura maschile attiva, ma dalla resistenza silenziosa di Cenerentola che è consapevole di non poter cambiare la sua vita solo sperando e, nelle versioni successive a quella dei Grimm, da un intervento esterno che ha le sembianze dell’archetipo materno (la fata madrina, appunto). Nella narrativa per l’infanzia non è una novità: le streghe e le fate sono motivi ricorrenti per reinterpretare la realtà e scardinarne i codici dominanti, rappresentano la conquista di una posizione di comando sia in veste di antagonista che in quella di aiutante. Prendendo in prestito alcune riflessioni della studiosa americana Kimberley Ann Wells sulla narrativa per adulti, queste declinazioni della figura femminile si inseriscono in una cornice di femminismo magico, un filone in cui le donne, appunto, si appropriano del meraviglioso per rivestire un ruolo che altrimenti gli verrebbe sottratto (Forni, 2021).

Hänsel e Gretel, invece, rilegge il ruolo materno in chiave ambigua. Quando convince il marito ad abbandonare i figli nel bosco perché non sono più in grado di sfamarli, la madre di Hänsel e Gretel riveste contemporaneamente anche il ruolo della matrigna, svuotandosi dell’istinto di maternità a tutti i costi. È un atto radicale che sovverte la logica patriarcale classica e lo stereotipo della madre amorevole. Infine, sarà Gretel, e non Hänsel, a segnare il punto di svolta. Il gesto di spingere la strega nel forno ribalta i ruoli che immaginavamo già predestinati poiché, in tutto il racconto, è sempre Gretel a chiedere aiuto al fratello per sentirsi protetta. Il racconto sembra così suggerire che alla forza distruttiva del materno corrotto e della mascolinità debole, si possa contrapporre un’altra forza ancora femminile ma positiva (Acone, 2025).
Nell’editoria italiana ottocentesca destinata all’infanzia vi è il fermento di una narrazione di forte matrice didascalica. Il progetto di nation building dell’Italia appena unita vuole la donna come custode del focolare domestico, esempio della sottomissione ma anche della giustezza. Sofia Bisi Albini (1856- 1919), autrice oggi dimenticata ma sorprendentemente attuale, propone un lento scivolamento verso un altro paradigma. Le sue “donnine forti” costruiscono microcosmi in cui prende forma un’altra possibilità di re-interpretazione dei personaggi femminili nell’ambito di quella produzione letteraria. Un matriarcato narrativo che suggerisce nuovi criteri di forza in opposizione ai canoni della mascolinità: la cura, l’empatia, la dignità. Le protagoniste Conny, Sandra, Linda non agiscono come eroine tragiche né come ribelli clamorose: sono bambine, giovani donne che provano a reagire alle convenzioni sociali che opprimono la loro libertà di realizzazione.
Un lavoro di rovesciamento del sistema patriarcale, non in direzione di uno marcatamente matriarcale ma a favore della centralità del bambino, lo fa Bianca Pitzorno negli anni ’70. Il suo primo romanzo, Sette Robinson su un’isola, smantella il canonico nucleo famigliare che vede a capo il padre e accanto una perfetta idea di moglie/madre a supporto, e ne costruisce uno totalmente rivisitato i cui componenti, secondo uno spirito quasi anarchico, vivono con libertà il naufragio sull’isola come metafora di riscrittura della famiglia tradizionale.

In Clorofilla dal cielo blu il bambino è ancora protagonista del suo destino, un bambino non necessariamente governato da una figura genitoriale, ma che anzi da questa viene spinto a cavarsela da sé. È la madre di Michele e Francesca, infatti, che li metterà in viaggio, da soli per raggiungere uno zio, poiché lei ha ricevuto un importante incarico come speleologa che la terrà fuori casa per diverse settimane. Il papà è solo un supporto di sorveglianza nell’ambiziosa impresa della moglie (Sardo, 2025).
La narrativa di Pitzorno è rivoluzionaria, intrisa di principi sessantottini e di un animo già naturalmente innovativo, rompe da subito il paradigma della donna incastrata senza soluzione di scelta in un ruolo che le è stato dato – quello di futura madre e moglie per lo più – e che deve assolvere a tutti i costi. Con la sua penna, e insieme a quella di altre autrici, si apre lo spazio per una nuova figura femminile: bambine e ragazze libere di scrivere il proprio destino e di conquistarsi, almeno nei libri, quel privilegio.
[1] L’articolo rielabora, integrandoli con riflessioni personali, alcuni degli spunti emersi durante il convegno “L’onda lunga del patriarcato: depositi e sopravvivenze, decostruzioni e superamenti, nel prisma della letteratura per l’infanzia”, tenutosi presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Catania, il 27 e 28 maggio 2025.