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Il magico mondo del grigio tipografico

di Claudia Puglisi

Allieva dell’edizione 2016 del master Il lavoro editoriale

Impaginare è l’arte del comporre il testo secondo criteri prestabiliti, nella fattispecie rappresentati dalle regole redazionali – guida che uniforma l’entropia generata dall’insieme di segni costituiti dalle battute – e il layout – scheletro dell’artefatto libro. Scopo dell’impaginatore è rendere chiaro e fruibile il messaggio distribuendo lo spazio in modo da favorire quanto più possibile la comprensione del testo al lettore, plasmando la materia testuale, informe nella sua natura simbolica, in una architettura coerente, ottimale e dignitosa, tenendo sempre conto del servizio pubblico per cui si sta lavorando.

In questo senso, fatta eccezione per i libri d’artista, l’eccentricità non è una qualità positiva tanto quanto l’aderenza a determinate convenzioni; l’estetica invece è un mezzo di accompagnamento e non il fine, infatti se un lavoro è allestito male può essere salvato dall’avvenenza superficiale, ma un’impaginazione non adeguata compromette la comprensione del messaggio.

Nell’epoca del desktop publishing sono due i software di elaborazione più diffusi: QuarkXPress e InDesign, quest’ultimo, firmato Adobe, è divenuto quasi uno standard in tutti gli ambienti editoriali e per questo (e perché è il programma utilizzato in casa editrice) è stato strumento oggetto della lezione.

Guida spirituale di questa avventura chiamata impaginazione è stata Giulia Zavagna, redattrice e editor presso SUR, traduttrice e revisore, che intrepidamente – ci vuole coraggio, molto, ad affrontare una classe profana all’argomento – si è fatta onorevolmente carico della faticosa iniziazione al mondo del grigio tipografico di dodici corsisti più o meno ignari delle infinite insidie celate dietro un visto si stampi.

Come ogni viaggio ben strutturato necessita una prima fase pianificativa, così una buona dose di cenni teorici estrapolati da copertine e impaginati reali, ha permesso di organizzare le idee prima di mettere le mani alla tastiera. Un breve tour dietro le quinte, dalla fase embrionale sino alla nascita. E non starò qui a parlare di font e del loro birichino comportamento sempre diverso, a seconda della famiglia di appartenenza; non accennerò neppure alle vedove e alle orfane che insediano mestamente le pagine, o di come gli stili di paragrafo somiglino alla semplicità, se lo facessi dovrei anche parlare di legature, crenatura, tabulazioni e tanti altri elementi familiari a chi demiurgicamente si avvicina al mondo tipografico cambiando radicalmente il modo di approcciarsi all’oggetto libro.

“È noto che un bravo stampatore quando prende in mano un bel libro nuovo lo guarda davanti e dietro, apre la copertina accompagnando la piega con la mano, osserva i caratteri tipografici, come sono disposti e di che tipo sono e se sono originali o di una fonderia secondaria, osserva e critica la carta, la legatura, il dorso del libro se è tondo o quadrato, come comincia il testo (a che altezza) come sono i margini, come va a capo, com’è disposta la numerazione e tante altre cose. Un lettore che non sa niente di stampa legge il titolo e il prezzo, compera e legge poi il libro, ma se gli domandate che carattere aveva il titolo lui non lo sa dire, non gli interessa. Nel suo mondo privato di immagini non ci sono punti di contatto con queste cose che non conosce; lui non ha visto che tipo di carattere tipografico fosse.” (Bruno Munari)

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