di Gulia Beccafico (allieva del master “Il lavoro editoriale” 2025)
«L’illusione non è mai stata così reale, e l’idea di realtà non è mai stata così illusoria.»
Ipnocrazia è una parola che non esisteva, inventata da un autore che non esiste, su un potere che esiste eccome. Un saggio filosofico che è anche una performance, una trappola narrativa, un esperimento di intelligenza artificiale e una provocazione editoriale. Un pamphlet che in poco tempo ha conquistato le classifiche e i giornali europei, firmato da un certo Jianwei Xun, filosofo di Hong Kong con studi a Dublino, ma che in realtà è una creatura sintetica, un avatar generato da IA e orchestrato dal filosofo e editore Andrea Colamedici.
Il libro, pubblicato nel gennaio 2025 da Edizioni Tlon, si presenta come una disamina sulla manipolazione percettiva nell’era digitale. Il concetto di “ipnocrazia” si riferisce a un regime che opera direttamente sulla percezione, inducendo uno stato alterato di coscienza permanente, un «sonno lucido» o una «trance funzionale». Tale sistema rievoca il mito della caverna di Platone: prigionieri che vedono solo ombre proiettate, scambiandole per realtà. Oggi, quelle ombre sono generate da algoritmi invisibili e feed personalizzati che ci sommergono con contenuti selezionati in base alle nostre abitudini digitali. La realtà che percepiamo è filtrata e strutturata prima ancora che possa essere pensata, l’informazione scorre come un «fiume ipnotico» e il pensiero critico viene dolcemente addormentato. Nondimeno, il libro si propone al tempo stesso come un’operazione di meta-inganno: un testo che denuncia la manipolazione mentre la pratica, che smaschera le tesi persuasive mentre ne costruisce una. Un gioco di specchi che ci costringe a chiederci: chi sta manipolando chi?
Ma andiamo per ordine. Il cuore pulsante di Ipnocrazia è un’analisi feroce di come viviamo immersi in mondi già costruiti tramite continui flussi subdoli di dati: la televisione trasmette messaggi subliminali, i social network trasfigurano ogni tendenza in mania collettiva, persino i ricordi o le nostre future azioni appaiono programmati da forze invisibili. Questa riflessione sembra citare le teorie del filosofo Jean Baudrillard: ormai abitiamo in un’iperrealtà fatta di simulacri, dove «immagini, spettacoli e il gioco dei segni» hanno soppiantato i tradizionali concetti di produzione e conflitto di classe. In altre parole, la realtà si confonde sempre più con le sue rappresentazioni, e Ipnocrazia agisce da riflesso grottesco di questo meccanismo: continuamente il lettore si chiede se stia leggendo le tesi di un filosofo o le ricorsività di un’intelligenza artificiale. Il trucco dell’autore fittizio si rivela così parte della finzione stessa, invitandoci a dubitare dei nostri sensi.
La menzogna sulla natura di Xun – generato da un volto umano rielaborato attraverso il metodo “Consistent Character” – pur essendo artificiale, si è fatta portavoce di una verità più grande sulla nostra credulità. Come ha osservato il filosofo Byung-Chul Han, a cui Xun è stato paragonato come un erede, stiamo vivendo non più in una «società disciplinare» ma in una vera e propria società della performance: i cittadini non sono più sudditi remissivi, ma imprenditori di sé stessi, impegnati a rappresentare costantemente la propria esistenza in un’arena di like, follower e ammirazione virtuale.
Il richiamo più evidente è al Luther Blissett Project, famoso esperimento collettivo degli anni Novanta. Leggendo il libro, viene spontaneo chiedersi come uno studioso cinese possa conoscere così nel dettaglio la storia di Luther Blisset, uno dei tanti indizi che Colamedici ha disseminato e che ci invita a cogliere. Ipnocrazia appare come una versione aggiornata di Luther Blisset. Jianwei Xun viene definito come un collettivo di intelligenze umane e artificiali che danno vita a modi inediti di fare filosofia, tramite la creazione di spazi nuovi, usando le stesse armi del potere e andando a creare un’esperienza che possa svegliarci – almeno momentaneamente – dal nostro stato di sonnambulismo. Il risultato è un palinsesto moltiplicato di narrazioni, una rete di dettagli che sfidano il lettore a ricomporre la verità. Tuttavia, questa stratificazione di livelli narrativi e finzioni solleva interrogativi tutt’altro che marginali. È legittimo parlare di esperimento, se al pubblico non viene comunicata da subito la sua natura artificiale? Pur avendo Tlon offerto il rimborso a chi ha acquistato il libro prima del 4 aprile – giorno della rivelazione – resta il dubbio su quanto sia corretto proporre un’operazione di questo tipo senza dichiarare esplicitamente l’uso dell’intelligenza artificiale fin dall’inizio. In un contesto in cui il dibattito sull’IA in ambito creativo è più vivo che mai, il rischio è che il messaggio finisca per oscurarsi dietro il meccanismo che lo veicola. Tuttavia, cosa ci insegna l’esperimento Ipnocrazia? Forse che anche il più sofisticato inganno può finire per mettere a nudo le verità scomode della nostra epoca. Ciononostante, rimane il dubbio che tutto ciò svanirà presto nel marasma delle notizie. In una società che brucia scandali e titoli clamorosi a velocità record, l’eco di questa vicenda minaccia di esaurirsi in modo simile a una moda passeggera, trasformandosi a sua volta in un prodotto usa e getta.
Ma come Ipnocrazia suggerisce, l’unico modo per uscire dalla prigione della rete è continuare a esercitare il pensiero critico, che appare sempre più fioco e malleabile nell’era digitale. Il ruolo di Ipnocrazia nel panorama editoriale e culturale ci ha mostrato un abisso, e forse presto non riusciremo più a distinguere un libro scritto da un essere umano da uno opera di un’intelligenza artificiale. Viviamo in un mondo di idoli e inganni, dove la verità non si cerca più: si scrolla, si consuma, si archivia. “Xun” ha avuto il merito di ricordarci questo: se non torniamo a dubitare, penseranno per noi. E lo faranno benissimo.