Intervista ai fondatori Gianmario Pilo e Marco Cassini.
di Letizia Marotta, allieva del master “Il lavoro editoriale” 2025
Tutto è cominciato con una passeggiata lungo le vie di Ivrea tra un – allora – libraio e un – ancora oggi – editore, Gianmario Pilo e Marco Cassini. «Quando facevo il libraio organizzavo presentazioni e mini rassegne, poi una passeggiata con Marco nella mia città ha cambiato tutto», racconta Gianmario Pilo, adesso responsabile eventi di Lucy e direttore commerciale di Accento edizioni. Da quel momento germoglia una suggestione, che in pochissimo tempo si trasforma in un’idea concreta: un festival letterario capace di unire la passione di entrambi per i libri e la volontà di diffonderli, nasce così, nel 2013, La grande invasione.
L’intenzione era semplice e insieme profonda, basata sulla costruzione di un’esperienza che fosse coinvolgente, comunitaria e condivisa. Qualcosa che unisse e incidesse significativamente sugli organizzatori, sui partecipanti e sulla città intera.
Ivrea non è stata una scelta casuale, è la città di origine di uno dei due fondatori e soprattutto un territorio fertile, spiega Pilo: «Ha sei librerie solo nel centro storico», e un retaggio industriale che ha sempre mostrato attenzione per la cultura. L’eredità olivettiana – un’idea di impresa legata fortemente alla formazione e alla partecipazione della comunità – è infatti ancora visibile nel tessuto sociale della città. È un luogo in cui le parole, i libri, la condivisione del sapere hanno trovato una realtà pronta ad accoglierli.
Fin dall’inizio La grande invasione si era prefissata l’obiettivo di conquistare lettori e lettrici a ogni edizione, con l’intenzione di “invadere” pacificamente la città declinando il verbo leggere e portando nuove voci, attraverso eventi inclusivi, diversificati e di qualità. Lezioni, incontri, spettacoli, laboratori: ogni segmento del festival era pensato per costruire una relazione diretta tra i libri e le persone, creare uno spazio dove il tempo dell’ascolto e del confronto con i vari ospiti potesse esistere e sedimentare in ciascun individuo.
Nel tempo il festival è cresciuto sia in dimensioni che in riconoscibilità: «Riceviamo molte più proposte rispetto agli inizi», racconta Marco Cassini, «e il nostro lavoro di selezione diventa più complesso e articolato, ma abbiamo anche maggior consapevolezza della nostra identità». L’equilibrio tra grandi nomi e nuove scoperte resta invece un caposaldo. A fare la differenza è anche la cura per il formato: dalle lezioni – cuore del festival, con decine di incontri solo nell’ultima edizione – a proposte più innovative come “Stephen Chi?”, evento diffuso nei bar della città, in cui due esperti di Stephen King cercano di convincere il pubblico o un ospite che appartiene al settore editoriale a leggere i libri dell’autore statunitense, o “La notte delle librerie”, format che riunisce tutte le librerie eporediesi in un’unica narrazione collettiva, attraverso presentazioni che si svolgono in contemporanea.
In questi anni, l’anima del festival si è consolidata, diventando un appuntamento atteso da un’intera comunità – locale e nazionale – che riconosce in Ivrea un punto di riferimento culturale.
Un episodio chiave risale alla prima edizione, nel 2013. Una lettura serale dell’attore Giuseppe Battiston, organizzata in un piccolo ristorante, attirò molte più persone del previsto. Gianmario e Marco restarono fuori con il resto del pubblico «come (da quella volta in poi) succede ogni volta che c’è anche una sola persona che non riesce a entrare all’evento», e ne rimasero colpiti. Nessuna protesta, solo gioia e stupore per ciò che stava succedendo. «Una signora ci fece promettere, davanti a un cospicuo numero di testimoni, che per le future edizioni avremmo previsto una forma di prenotazione per gli appuntamenti di maggior richiamo, per dare la garanzia di poter assistere. Per noi fu una lezione importante».
Qualcosa di autentico stava nascendo, le persone erano presenti e pronte ad accogliere il festival con entusiasmo e curiosità.
Il lavoro dietro le quinte è meticoloso. Un ampio spazio della programmazione è dedicato alle lezioni, che vengono preparate con cura e sono strutturate seguendo un percorso che esplora un tema specifico, di volta in volta diverso. Accanto a queste, vi sono numerosi incontri, mostre e momenti di confronto, la cui scelta è basata su passioni personali, suggerimenti delle librerie e proposte degli editori. Anche La piccola invasione, pensata per i giovani lettori, è frutto di una progettazione scrupolosa e si sviluppa attraverso i contatti con le scuole e gli esperti del settore. Ogni anno, per entrambe le invasioni, viene ospitato un editore, che contribuisce a definire il tono e il ritmo della manifestazione. Il programma si costruisce inoltre ascoltando le persone e osservando come gli incontri vengono vissuti, anno dopo anno. Ogni edizione è frutto di un equilibrio sottile tra fedeltà al progetto originale e desiderio di sperimentare.
Ciò che rende unica La grande invasione è il suo rapporto con il pubblico. «Pur essendo un festival di media-grande dimensione, mantiene l’intimità di quelli piccoli», spiega Gianmario Pilo. Il legame con Ivrea è saldo, basato sulla fiducia reciproca: «La gente si fida del nostro programma, riempie le sale, ci sostiene».
A livello locale, la manifestazione ha portato movimento, interesse e indotto tramite l’attivazione di un’intera rete culturale: associazioni, scuole, librerie, spazi cittadini partecipano e si riconoscono nell’evento. «Ivrea è una città che ci piace molto e con un filo di presunzione pensiamo che il festival in quei quattro giorni la renda più bella ancora», affermano gli organizzatori.
La grande invasione si è estesa e oggi è presente in altre due città, Aosta (2024) e Chieri (2025), l’obiettivo futuro è rafforzare queste nuove sedi e puntare anche a una maggiore professionalizzazione dello staff, per essere all’altezza delle aspettative di pubblico, editori, ospiti e istituzioni che vedono nel festival un punto di riferimento nel panorama culturale italiano.
L’anima resta comunque la stessa: «I festival devono conquistare nuovi lettori, scoprire nuove voci, “portare a terra” contenuti in modo che siano fruibili a tutti». La sfida dei prossimi anni sarà mantenere questo equilibrio tra profondità e apertura, tra radicamento territoriale e visione nazionale, continuando a invadere con le parole.


