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LA LETTERATURA DEGLI ABISSI

di Michela Clavuot, allieva del master “Il lavoro editoriale” 2025

“Mi tuffai sotto, a occhi aperti, penetrando nell’acqua e battendo i piedi verso il fondo. […] Mi resi conto dal nulla, con riconoscenza, che assolutamente ogni cosa intorno a me era viva. Non c’era un confine tra il mio corpo e il mondo vivente”.
Martin MacInnes, Ascensione

Ci sono romanzi che non si limitano a raccontare una storia: ti spingono sotto la superficie, dove la luce si spegne, il corpo perde peso e il pensiero devia dai suoi percorsi abituali. Le nostre mogli negli abissi di Julia Armfield (Bompiani, 2024), Under Jungle di James Sturz (Edizioni di Atlantide, 2024) e Ascensione di Martin MacInnes (Edizioni Sur, 2024) ruotano intorno a un punto comune: l’attrazione per l’abisso. Storie che parlano d’immersioni, creature sconosciute, viaggi nelle profondità oceaniche e interiori dove ciò che si incontra è spesso inquietante, ambiguo o sorprendentemente umano.

Perché tre scrittori che vivono in luoghi geografici diversi – Londra, New York, Edimburgo – si sono mossi verso lo stesso baricentro narrativo? Ha a che fare con un presente caotico e iperconnesso che non riusciamo più a decifrare?

Una cosa è certa, se il mondo in superficie diventa sfocato, una parte della letteratura è tornata a guardare in basso verso ciò che è sepolto. A modo loro, questi tre libri raccontano lo smarrimento, la trasformazione e il desiderio di capire chi siamo davvero.

Nel romanzo di Julia Armfield, Leah è una biologa marina che parte a bordo di un sottomarino per esplorare i fondali oceanici. Ma qualcosa va storto: la spedizione viene compromessa da un misterioso incidente e per mesi di lei non si sa più nulla. A casa, la moglie Miri resta in bilico tra la paura della morte e la speranza di un possibile ritorno. Le domande le affollano la mente anche quando, all’improvviso, Leah compare sulla porta di casa portandosi dietro un dolore al quale è difficile trovare un nome. Qualcosa in lei è cambiato: parla poco, il corpo comincia a trasformarsi, come se l’acqua le si fosse infiltrata nella carne, e la loro normalità diventa un lontano ricordo.

Ma Armfield non racconta una storia di mostri. O forse sì. Il punto è che non lo dichiara mai. L’ambiguità è padrona della narrazione e a chi legge è lasciato il dubbio: è davvero tornata o è un fantasma nella mente di Miri?

La storia compie un percorso discendente scandito dall’ordine dei capitoli, ai quali corrispondono le zone oceaniche: dalla più superficiale epipelagica alle profondità più remote, dove la vita è rara e irriconoscibile. Ma questa non è solo la mappa di un fondale, è il tracciato di un naufragio affettivo. Mentre Miri ripercorre la storia del loro legame, il lettore affonda con lei in un territorio sempre più fluido, dove il confine tra umano e altro si fa incerto. L’oceano, qui, è un personaggio pervasivo, un’ombra che si insinua nelle stanze e nei pensieri. Non agisce, trasforma. In un certo senso è lui ad aver riscritto il corpo di Leah, a renderla diversa. Ma forse è sempre stato lì, sotto la superficie di ogni relazione: quel punto cieco dove l’altro non riesce ad arrivare, anche quando è accanto a noi.

In Under Jungle, invece, l’abisso non è un luogo di caduta ma un punto di osservazione. La prospettiva si ribalta: il narratore è una creatura marina appartenente a una civiltà sommersa divisa in tribù e governata da regole millenarie. Quando un cadavere umano affonda tra le loro colonne d’acqua, qualcosa si spezza. A precipitare è un enigma che infrange l’ordine, altera i ritmi e genera nuove domande: da dove viene questa creatura?

Il pensiero del protagonista si muove in tutte le direzioni, dall’origine al destino della sua specie, dal senso dell’esistenza a quello dell’amore, come se il cadavere umano funzionasse da specchio: chi guarda, finisce per guardarsi. Con una scrittura lirica e immersiva, Sturz non si limita a descrivere l’oceano: lo fa sentire sulla pelle. Il lettore lo attraversa, percepisce l’odore salmastro, la viscosità delle superfici e la tensione tra predatori e prede. Il confine tra umano e marino è sottilissimo, come a volerci ricordare che anche noi, in fondo, veniamo da lì.

In questo senso, l’abisso di Under Jungle diventa un invito a guardare diversamente il nostro rapporto con il vivente. Non c’è nulla di edificante: l’acqua è instabile e pericolosa. Ma è anche l’unica entità che sembra contenere tutto, e tutti.

Arrivati ad Ascensione, scopriamo qualcosa di altrettanto prezioso: esiste una linea invisibile che unisce l’abisso alla galassia. E MacInnes la segue passo dopo passo: dalla discesa nei fondali fino al silenzio interstellare, come se il viaggio attraverso il mare fosse la sola via possibile per avvicinarsi al mistero del cosmo.

Leigh è una biologa marina abituata a pensare in termini di ecosistemi invisibili. Viene selezionata per esplorare una nuova fossa oceanica, da cui potrebbero emergere indizi sull’origine della vita sulla terra. Tra archei e sorgenti idrotermali, quest’ultima intuisce che l’abisso non è solo un ricordo remoto dell’evoluzione: è ancora presente dentro di noi.

«La cellula, in sostanza, è una capsula di oceano. Una capsula primordiale conservata, che racchiude al suo interno l’ambiente marino originale».

Il viaggio nello spazio — che nella seconda parte del romanzo si apre improvvisamente — non è un salto in un altro mondo, ma il naturale prolungamento della discesa. Perché oceano e cosmo sono due parti dello stesso interrogativo: da dove veniamo, dove stiamo andando?

È un romanzo di esplorazione, ma anche di solitudine e di perdita. Se l’umanità si spinge nello spazio non lo fa solo per sete di conoscenza, ma anche per una disperata necessità di sentirsi parte di un ordine più grande. Tuttavia, anche nei momenti più grandiosi della spedizione, la narrazione torna sempre all’intimo, tra le pieghe del rapporto di Leigh con la madre e la sorella. Ascensione, candidato al Booker Prize 2023, è un viaggio in cui ogni conquista apre a nuove domande e ogni immersione ci riporta alla nostra natura: radicati nella materia, divisi tra il bisogno di comprendere e l’impossibilità di sapere tutto.

Forse il nostro tempo chiede questo: provare a smettere di galleggiare. E la letteratura, ancora una volta, resta lo strumento che più di ogni altro può accompagnarci in questo percorso.

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