di Rossella Balice (allieva del master “Il lavoro editoriale” 2025)
«Il corpo smise di essere importante. Una cattedrale di nulla». È così che Camila Sosa Villada, autrice di Le cattive (Sur, 2021), descrive l’inizio della sua esperienza come donna trans prima e prostituta poi. Con questa frase la scrittrice argentina lascia trasparire tutto il dolore che si prova quando il corpo non può esprimersi come vorremmo, ma diventa solo un rivestimento per la propria soggettività, Una cattedrale di nulla.
In Italia, il riconoscimento delle soggettività trans ha trovato nel tempo uno spazio anche grazie al lavoro delle case editrici e alle loro coraggiose scelte editoriali, che da semplici atti culturali si sono trasformate in gesti politici. Si è passati dalla censura degli anni Settanta a un presente più aperto al confronto, un percorso lungo segnato da due tappe emblematiche: I travestiti di Lisetta Carmi (Essedi, 1972) e Le cattive di Camila Sosa Villada opere che, a cinquant’anni di distanza l’una dall’altra, dialogano ancora tra loro.
Due sguardi – quello della fotografa italiana e quello della scrittrice argentina – che ci restituiscono l’immagine delle comunità trans femminili tra Italia e Argentina, mostrando un’umanità complessa e ostinata, capace di resistere anche ai tentativi di cancellazione.
Nel 1972, in un’Italia ancora chiusa su modelli rigidi di genere e sessualità, la fotografa genovese Lisetta Carmi pubblica I travestiti, un volume che si dimostra subito dirompente per i tempi. Il libro raccoglie oltre ottanta fotografie scattate tra il 1965 e il 1971 a Genova, in particolare nel quartiere del ghetto, dove Carmi entra in contatto con una comunità di travestiti – come erano allora chiamate le persone trans – che vivevano in condizioni di estrema marginalità. Il volume non è solo un progetto estetico, ma un manifesto etico: Carmi, da sempre impegnata nella fotografia sociale, sceglie di guardare quei corpi non con sdegno, ma come esistenze degne di ascolto e rispetto. Le sue immagini – all’epoca in bianco e nero – mostrano gesti intimi, momenti di festa, lacrime, abbracci. Mostrano umanità.

Il libro fu un caso editoriale controverso. Considerato scabroso, fu presto ritirato dal commercio. La società italiana non era pronta a riconoscere dignità a quei corpi non conformi. Per decenni I travestiti è rimasto fuori catalogo, salvo poi essere ripubblicato con grande successo nel 2022 dalla casa editrice Contrasto, con le fotografie finalmente a colori. Una riedizione che, oltre al valore artistico delle immagini, celebra la forza politica del gesto fotografico: restituire visibilità a una comunità che si cerca di cancellare.
I colori delle fotografie richiamano senza dubbio lo stesso mondo coloratissimo descritto da Villada. Dal quartiere del ghetto genovese si passa al Parco Sarmiento, dove le donne trans di Córdoba si riuniscono, creando una comunità che si trasforma in una famiglia. Nel romanzo, autobiografico, la protagonista si chiama come la scrittrice, Camila, e ci mostra la vita delle travesti (il nome argentino con cui vengono identificate le donne trans). «Essere trans è una festa», dice Camila a una sua compagna, e infatti proprio attraverso la penna della scrittrice argentina emerge un mondo coloratissimo, a tratti comico, con richiami al realismo magico.
La stessa forza politica di Carmi si ritrova nella scrittura di Camila Sosa Villada che lei definisce il suo primo vero atto di travestimento, la forma attraverso cui inizia a conoscersi, fino all’accettazione di sé. Ma a differenza della fotografa, qui non è una testimone esterna a raccontare, è la voce stessa di una donna trans a prendere la parola, a narrare in prima persona, a costruire un immaginario letterario che fonde autobiografia e finzione. Camila scappa da casa dei suoi genitori e inizia a prostituirsi insieme alle altre ragazze trans. Non ha alternative per sostenersi, se non quella di vendere il suo corpo.

Il romanzo è anche un canto d’amore per la propria comunità, per la Zia Encarna in particolare, madre simbolica di tutte, e per il diritto a esistere al di fuori delle regole binarie del mondo. La Camila protagonista e quella scrittrice non nasconde nulla: né le violenze subite, né la fame, né la vergogna. Nonostante i momenti di difficoltà, Le cattive resta un romanzo pieno di vita e speranza, dove dall’emarginazione nasce una nuova famiglia, fuori da ogni schema sociale.
Come Carmi, anche Villada costruisce uno spazio di visibilità, ma qui la macchina fotografica è sostituita dalla parola, da una donna che prova a riscrivere la storia del suo corpo.
C’è una forte cesura temporale tra le due opere, ma anche un filo rosso che le unisce: la volontà di mostrare ciò che normalmente viene nascosto. Negli anni Settanta, l’Italia non solo censurava, ma negava ogni possibilità di riconoscimento giuridico o sociale alle persone trans. Oggi, grazie anche al lavoro degli editori, storie come quella di Camila Sosa Villada arrivano fino al pubblico italiano.
Quello che un tempo era considerato scandaloso diventa oggi patrimonio culturale. I travestiti, da libro ritirato, è oggi celebrato nei musei. Le cattive, vincitrice del premio Sor Juana Inés de la Cruz, destinato alle autrici di lingua spagnola, entra con orgoglio nei cataloghi di una casa editrice indipendente italiana con una forte attenzione alle voci sudamericane e queer.
La storia dell’editoria ci insegna che ciò che viene pubblicato, tradotto, venduto e letto ha un impatto sulla realtà. Carmi e Villada, con mezzi diversi, hanno aperto varchi in epoche diverse. La prima con l’obiettivo, la seconda con la penna. Guardare oggi quelle fotografie a colori o leggere le parole di Camila significa mettere in discussione lo sguardo dominante, aprirsi all’ascolto e, forse, contribuire a rendere il mondo più aperto verso il riconoscimento dell’alterità.
Così come scegliere di pubblicarle.