di Chiara Anastasi, allieva del master “Il lavoro editoriale” 2025.
Ludovica Lugli è giornalista del Post, dove si occupa di libri, clima e animali non umani. L’intervista che segue è una conversazione su una particolare prospettiva: quella di chi conosce bene protagonisti e meccanismi dell’editoria, senza essere mai stata dentro una casa editrice (o quasi).
Il primo progetto editoriale che hai curato è stato nel 2021 il numero di Cose spiegate bene, la rivista di carta del Post con Iperborea, dedicato alle questioni di genere – e poi il successivo sulle droghe. Di cosa ti sei occupata e come avete realizzato la rivista?
Cose spiegate bene è un progetto collettivo: Luca Sofri, direttore editoriale del Post, è la persona a capo del progetto e decide con Iperborea (che si occupa anche della ricerca per le scelte grafiche, comunque sempre approvate insieme) il tema di ogni rivista. Per i due numeri che ho curato abbiamo lavorato insieme all’indice, partendo da articoli esistenti sul Post che poi sono stati inseriti nella rivista in una versione arricchita e aggiornata. Altri li abbiamo aggiunti per “colmare i buchi” sull’argomento. Personalmente mi ero occupata dell’assegnazione dei nuovi articoli alle persone del Post, curandone poi l’editing e scegliendo titoli e sommari. Data la complessità degli argomenti trattati per i numeri in questione abbiamo collaborato con persone esperte esterne alla redazione per il fact-checking e per assicurarci di usare il lessico più accurato possibile, Massimo Prearo per il numero sull’identità di genere e Paolo Nencini per il numero sulle droghe. L’ultima fase era stata la revisione del direttore.
Dall’anno scorso sei nella giuria del Premio Vero, dedicato ai libri di non fiction che aiutano a spiegare il mondo. Che esperienza è?
Bella ma non semplice, ci sono tante discussioni aperte tra noi che selezioniamo i libri candidati. Una su tutte: che libri vanno considerati in un premio che si chiama “Vero” e si occupa di libri che danno strumenti per capire il mondo? La prima selezione riguarda i romanzi: non rientrano nei libri che ci interessano. Ma ci sono anche casi più sfumati. Di recente, ad esempio, abbiamo escluso un libro pubblicato come saggio ma in cui l’autrice dichiara di immaginare alcune scene che hanno per protagonisti personaggi realmente esistiti, scene che quindi non sono del tutto una verità storica. Un’altra questione su cui ci siamo interrogati è la fama dell’autore o dell’autrice dei possibili libri da selezionare: nella prima edizione non c’erano nomi molto noti anche perché abbiamo scelto di segnalare testi ben riusciti ma che rischiavano di non avere sufficiente attenzione. Per motivi simili non abbiamo selezionato più di due libri pubblicati dallo stesso editore. Un altro criterio riguarda la varietà dei temi. Una delle cose più interessanti del premio secondo me è scoprire la scelta dei quattro finalisti, tra i sedici presentati, da parte dei librai, che probabilmente usano dei criteri un po’ diversi dai nostri.
Per Comodino, il podcast che fai con Giulia Pilotti, la scorsa estate avete realizzato un club del libro su L’impostore di Cercas; tu non sei nuova ai bookclub, dato che dal 2022, insieme a due amiche, curi Senza Rossetto, ospitato dalla libreria milanese Verso. Quali sono le differenze tra queste due esperienze?

Il bookclub di Senza Rossetto è un gruppo di lettura canonico: si può partecipare anche online, ma di fatto siamo delle persone che si incontrano in una stanza periodicamente e per due ore parlano di un libro – che è scelto quasi sempre da me, Giulia Cuter e Giulia Perona. Nei quattro incontri annuali noi tre moderiamo e guidiamo la conversazione, ricordiamo le regole, ma le persone partecipanti (settanta per i libri di maggiore successo) intervengono abbastanza. È un gruppo molto accogliente: ci sono persone che partecipano una volta sola, ma la maggior parte è affezionata. Quello di Comodino è un esperimento, anzitutto decisamente più ampio, essendo aperto potenzialmente a tutte le persone abbonate al Post. Nel 2023, con Follia di McGrath, avevamo provato a usare mail e messaggi vocali per raccogliere i loro pareri da inserire nel podcast, ma non c’era un vero scambio all’interno della comunità di ascoltatori e ascoltatrici. L’anno scorso invece abbiamo collaborato con Anobii, permettendo alle persone di commentare online sulla piattaforma, e poi io e Giulia abbiamo fatto una sintesi.
Da diversi mesi sei un’autrice pubblicata anche tu, con un saggio inserito in Sta arrivando la fine del mondo?, edito da Utet. Com’è stato per te il processo di scrittura e la partecipazione a un progetto collettivo su un tema attuale e multidisciplinare?
In realtà non c’era uno scambio reciproco e collettivo: ogni autore e autrice parlava con uno dei due editor che si sono occupati della raccolta. A me hanno chiesto di partecipare senza propormi un tema e un taglio specifico, e io, dopo aver escluso un po’ di argomenti per cui non ero sicuramente la persona più competente tra quelle coinvolte, ho pensato a una riflessione sulla scelta (e il desiderio) di diventare genitori nonostante la crisi climatica. È stata un’esperienza nuova per me, perché non mi considero una “autrice” e generalmente non esprimo le mie opinioni personali per lavoro. Comodino ha sicuramente un lato autoriale, ma non è basato unicamente sulle opinioni e sui punti di vista miei e di Giulia, cerchiamo di non esagerare con il personalismo. Ci teniamo anche a dire che non siamo critiche letterarie ma lettrici, anche se quando riusciamo ci piace raccontare anche quello che la critica ha detto su un libro.
Ultima domanda, una curiosità: nella tua descrizione sul Post dici che avresti fatto la libraia se fossi nata nel ‘41. Come mai, e perché lo faresti (o no) oggi?
È più che altro una battuta, ma il senso è che il lavoro di libraia è probabilmente diventato più difficile con la perdita di rilevanza dell’editoria nel più ampio settore delle produzioni culturali (anche la protesta dei librai di Feltrinelli ne è un sintomo). Mi piacciono molto i libri, e ho sempre avuto l’idea che lavorare nelle librerie in passato fosse più spensierato rispetto a oggi, adesso credo serva anche molto coraggio e forse pure un bello spirito imprenditoriale.
Foto credits:Valentina Lovato (Il Post).