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Album: fotografie, narrazioni, autobiografie

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22 Ottobre 2016
euro 800

All’inizio di Il museo della resa incondizionata la scrittrice croata Dubravka Ugrešić scrive: «L’album è un’autobiografia materiale, l’autobiografia è un album verbale».

In entrambi i casi, album e autobiografia, ci si sta confrontando con quella che sempre Ugrešić chiama «tecnologia della memoria», vale a dire la base di quel delicatissimo processo che è raccontare la propria storia. Un processo nel quale il canonico album delle foto gioca un ruolo ben preciso: innesca il ricordo, lo nutre, conferma una serie di presupposti: ribadisce ciò che della nostra storia, e della nostra storia familiare, consideriamo noto e indiscutibile. Tra quelle pagine, come una precisissima cartografia del passato, riteniamo che riposi il senso di ciò che siamo.

Cosa succederebbe allora se del nostro album immaginassimo di fare un uso diverso? Non più strumento funzionale al consolidamento e alla condivisione di una memoria privata, bensì un dispositivo che serve a rivoluzionare abitudini percettive e punti di riferimento mescolando autobiografia e invenzione narrativa. Cosa succederebbe, quindi, se ciò che percepiamo come nostro diventasse estraneo, se il ricordo più nitido si facesse poroso assorbendo al proprio interno l’inaspettato? Cosa succederebbe, in concreto, se per esempio in un nostro ritratto di famiglia facesse di colpo irruzione uno sconosciuto o se figure della nostra storia personale, separate dal tempo e dallo spazio e dalle circostanze, trovassero all’improvviso la possibilità di incontrarsi?

Breve sintesi dei quattro incontri (dove si intende che quelli che seguono sono cinque macrotemi nonché cinque macrometodi su cui e tramite cui si lavorerà nel corso dei mesi, e che dunque ogni punto qui sotto descritto non coincide con un singolo fine settimana)

sabato 22 ottobre 2016  (dalle ore 10,00 alle ore 17,00)
domenica 23 ottobre 2016 (dalle ore 10,00 alle ore 17,00)

Si parte dall’idea che la narrazione autobiografica non è il resoconto di tutto ciò che sappiamo di noi, di tutto ciò che ricordiamo, l’elenco dei fatti accaduti costretti dall’interpretazione che ne abbiamo dato, bensì un azzardo, una vera e propria reinvenzione dell’esperienza.

E dunque si farà prima di tutto in modo che la memoria minuta, quella a cui solitamente non viene conferita dignità narrativa (quello che Georges Perec chiamava l’«infra-ordinario»), riguadagni centralità e valore, mettendo a disposizione forme, tonalità, dettagli, vere e proprie scene.

sabato 12  novembre 2016  (dalle ore 10,00 alle ore 17,00)
domenica 13 novembre 2016 (dalle ore 10,00 alle ore 17,00)

Un’attenzione ulteriore verrà attribuita alla materialità. Vale a dire agli oggetti e ai luoghi. Sui primi si lavorerà a partire da qualcosa che potremmo chiamare Cose di famiglia (e che costituirà quasi un laboratorio nel laboratorio), dunque oggetti concreti, frammenti, feticci, ciò che giace su una mensola o in fondo a un cassetto, esemplari inevitabilmente unici, totem e testimoni della nostra esistenza domestica. Il presupposto dal quale si parte è che le cose – mute, miti, ininterrottamente precarie, sempre a rischio di rompersi e venire sostituite oppure, al di là della loro consistenza, considerate imprescindibili – ci accompagnano per un periodo più o meno lungo della nostra esistenza.

Prendendo le mosse da una serie di oggetti personali, dalla loro materialità, dalle loro eventuali lesioni, da ciò che ne sappiamo e da quanto ne ignoriamo, si proverà a raggiungere un duplice obiettivo: costruire biografie attraverso gli oggetti, nonché costruire oggetti attraverso le biografie. Tutt’altro che contesti neutri, gli spazi nei quali siamo cresciuti – dall’interno domestico al condominio alle vie del quartiere – sono esperienze nodali, imprinting, vincoli, influenze: non tanto qualcosa che conosciamo, quanto qualcosa che sappiamo (nel senso etimologico di sentire il sapore).

Per usare lo spazio fisico come materiale per una narrazione autobiografica saranno ancora una volta centrali le riflessioni e i progetti di Georges Perec – da Ellis Island a Specie di spazi – così come quella straordinaria graphic novel che è Qui di Richard McGuire, una vera e propria autobiografia dello spazio.

sabato 10 dicembre 2016 (dalle ore 10,00 alle ore 17,00)
domenica 11 dicembre 2016 (dalle ore 10,00 alle ore 17,00)

Usando le fotografie degli album dei partecipanti (le loro copie, ovviamente), giocando con il crossing-over dei materiali, con la decontestualizzazione, lo straniamento e la ricontestualizzazione, si proverà a dare forma alla narrazione autobiografica – o, se vogliamo: autobiofotografica – non come al resoconto del déjà vu ma come a un lavoro di invenzione del jamais vu, un generarsi di trame che possono arrivare a rivoluzionare la percezione che abbiamo di noi stessi: del nostro passato, del nostro presente e (persino) del nostro futuro.

Parlare di «autobiografia del futuro» può apparire un azzardo, e per certi versi lo è, perché diamo per implicito che la narrazione autobiografica non possa che avere per oggetto una dimensione temporale ben precisa e immodificabile, vale a dire il nostro passato (o almeno quello che riteniamo essere il nostro passato). Al limite accettiamo l’ipotesi di poter scrivere qualcosa di simile a un’autobiografia del presente, quasi un’annotazione in «tempo reale» di quello che ci accade. Un’autobiografia del futuro è talmente inverosimile da apparire più che altro una battuta, uno scherzo, un gioco.

Eppure, prima valutare e poi praticare in concreto la propria autobiografia di quello che non è ancora accaduto, è un modo – forse il più radicale – per muoversi da un piano in cui la memoria (preziosissima, certo, eppure al contempo limitante e ricattatoria) sta al centro di tutto come una specie di feticcio da adorare, a un altro a tutti gli effetti narrativo in cui a valere è la «tenuta» drammaturgica di ciò che raccontiamo.

sabato 7 gennaio 2017 (dalle ore 10,00 alle ore 17,00)
domenica 8 gennaio 2017 (dalle ore 10,00 alle ore 17,00)

A quasi tutti è toccato in sorte di non essere un eroe. E neppure un imperatore, un guerriero, un pirata, un condottiero, uno statista o un grande filosofo. Non siamo Pericle, non siamo Giulio Cesare, né Napoleone o Gandhi. Per tanto tempo le uniche biografie considerate degne di diventare narrazioni erano proprio quelle di chi aveva compiuto cavalleresche imprese, i destini epici, le figure leggendarie.

A un certo punto ci si è resi conto che a essere significativo non è quanto in un’esistenza è effettivamente accaduto (o, ancora, quanto riteniamo sia accaduto), ma il modo in cui uno sguardo, e la lingua che di quello sguardo è il riflesso narrativo, sa conferire esistenza alle cose, e dunque alle esistenze. La memorabilità, in sostanza, non sta nei fatti ma nel modo in cui quello che accade viene percepito e trasformato in una storia. E allora alle tradizionali «vite degli uomini illustri» (dunque quelle degli altri) si sono poco a poco aggiunti i racconti delle «vite degli uomini non illustri» (dunque le nostre), siano essi scrivani o viaggiatori di commercio, mogli di medici di campagna o uomini che un giorno si svegliano con l’impressione di avere il naso storto.

Saranno proprio le vite degli uomini non illustri a costituire il modello ultimo al quale ci si rifarà, la struttura narrativa che permetterà di raccontare di sé, seppure a costo di violare quelli che tendiamo a considerare due condizioni inalienabili della narrazione autobiografica, vale a dire la prima persona singolare e il passato remoto. Il testo finale, risultato dei mesi di lavoro condiviso, esisterà infatti in terza persona singolare e al presente indicativo, valendo come un’occasione – tra le tante disponibili – per raccontarsi da un angolo visuale inedito.

Quindi, per riepilogare:

Cosa:Album: fotografie, narrazioni, autobiografie
Quando:Dal 22 ottobre al 10 dicembre 2016
Dove:via della Polveriera 14 – Roma
Quanto:800 euro
Con chi:Giorgio Vasta

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