a cura di Nicole Spallina (allieva del master “Il lavoro editoriale”)
Nelle aspettative dell’autore questo romanzo sarebbe stato un fallimento. D’altronde, ci aveva lavorato per dieci anni senza neanche avere un editore già interessato al progetto, scrivendolo principalmente per sé stesso e per il ragazzino che era stato. Un National Book Award (vinto nel 2021) dopo, Jason Mott si rende conto che la stranezza del suo Hell of a book, arrivato di recente in Italia grazie a NNEditore, non è un punto di debolezza, bensì la ragione del suo successo.
La traduzione, a cura di Valentina Daniele, porta il titolo Che razza di libro!: una scelta efficace che gioca con i diversi significati del sostantivo “razza” in italiano, oltre che una dichiarazione d’intenti ben riuscita sulla struttura diegetica creata da Mott. Un intreccio di fiction e suggestioni autobiografiche, attualità e metanarrativa, in cui non mancano la fascinazione per la letteratura fantastica e il cinema hollywoodiano classico, prende vita dalle storie di due protagonisti.
Da un lato, la prima persona di uno scrittore famoso, affetto da una malattia fuori dal comune e assorbito dal tour promozionale del suo bestseller; dall’altro, il racconto in terza persona di un ragazzino dalla pelle così scura da essere soprannominato Nerofumo, che ha imparato a rendersi invisibile. Diventano compagni, fratelli, forse una sola anima: che il loro incontro sia un’allucinazione o meno, pone chi legge di fronte a una quotidianità fatta di pregiudizio e violenza, a tal punto assimilata da passare quasi inavvertita.
Solo dopo aver buttato giù la figura dello scrittore è subentrato il bisogno di riflettere sull’aspetto razziale, su cosa significhi essere neri negli Stati Uniti di oggi, soprattutto dopo i molteplici episodi di abuso di potere da parte delle forze dell’ordine. Nell’incontro online con i lettori a cura della casa editrice italiana, Mott ha spiegato che la vera sfida è stata far convivere l’aspetto serio e drammatico con i momenti comici e satirici, trovare un equilibrio. In effetti la vena ironica che caratterizza il punto di vista dell’adulto e le sue avventure nel marketing editoriale è bilanciata dal tono onirico, a tratti fiabesco, nelle parti dedicate all’infanzia di Nerofumo.
Autore anche di poesie e sceneggiature, Mott ha sempre inserito nelle sue opere l’elemento fantastico. Che razza di libro!, in particolare, indaga il ruolo dell’immaginazione sia in merito al rapporto con l’arte, sia nella sua capacità di diventare un mezzo non tanto di allontanamento, quanto di contatto con la realtà, uno strumento per prendere coscienza del clima sociale e politico contemporaneo.
Da qui la scelta di non dare nomi allo scrittore e al ragazzino, di lasciare la loro identità incerta, in continuo movimento tra il singolo e il doppio. Perché la narrazione sia coinvolgente per chiunque legga, indipendentemente dall’età, e permetta ai suoi personaggi di applicare l’arte dell’invisibilità, una lezione da sempre impartita in famiglia ai giovani neri. Una forma di prevenzione e difesa che porta con sé un caro prezzo: la perdita della facoltà di parlare, l’abbandono di ogni possibilità di partecipare al cambiamento.
In quanto artista nero, Mott ha sentito la responsabilità e il dovere di interrogarsi su questi temi, di rappresentare anche chi non ha il diritto di esprimersi, nonostante non fosse il suo obiettivo iniziale. Si dice stupito del successo che il romanzo ha riscosso tra i giovani. Forse la ragione va cercata nel talento con cui ha costruito Nerofumo, che recupera pelle e voce per condividere l’ingiustizia della sua esperienza. Un ragazzino che per la prima e l’ultima volta chiede di essere visto.