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Mondo Beat e le altre: la controcultura italiana attraverso le sue riviste

mondo beat rivista

A cura di Francesca Di Rocco (allieva del master “Il lavoro editoriale”)

Sulla Beat Generation, che ha da tempo trovato una propria collocazione anche nel mondo accademico, sono stati versati fiumi d’inchiostro. Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, Corso sono solo alcuni degli illustri esponenti di quella stagione artistica e letteraria che, all’indomani della Seconda guerra mondiale, ha rappresentato un terremoto culturale nell’America della red fear, spianando la strada a quello che sarebbe diventato di lì a poco il movimento hippie.
Ma se vi nominassi Matteo Guarnaccia, recentemente scomparso? O Melchiorre Gerbino? O ancora, Vittorio Di Russo? E Andrea Valcarenghi? C’è una certa possibilità che, contrariamente ai sodali americani, questi nomi non vi facciano suonare nessun campanello. Eppure sono esistiti, sono esistiti eccome, sebbene della loro attività non sia rimasta una traccia tanto evidente quanto quella lasciata dai Beat d’oltreoceano. Lo stesso oblio è toccato alla rivista Mondo Beat.
Voglio parlarvi delle fanzine e riviste letterarie dell’Italia degli anni Sessanta, eletti a organi ufficiali di stampa dei gruppi che animavano l’underground politico e culturale della Penisola.
E no, il Sessantotto non c’entra niente: la parabola dei Beat nostrani si era già esaurita quando il movimento studentesco imperversò, coinvolgendo gli atenei di mezzo mondo.


Nel 1965 è stata pubblicata la prima edizione di On The Road tradotta da Fernanda Pivano, madrina italiana del movimento Beat americano e fautrice della sua diffusione. A partire da quel fatidico anno si innescarono una serie di eventi che, come braci, ardevano sotto la cenere in attesa di un vento amico per poter finalmente divampare.
Siamo nel 1966. Siamo a Roma, a Napoli, a Milano, siamo a Torino, a Genova. Nell’Italia del boom economico, nasce il nostro movimento Beat, venuto al mondo con un certo ritardo rispetto al corrispettivo a stelle e strisce, ma di certo non meno degno di essere conosciuto e divulgato.


Mondo Beat vede la luce nel 1966 in Viale Montenero, a Milano. Come molte riviste e fanzine dell’epoca, era nata per andare incontro alle esigenze dei ragazzi, quella generazione di reietti che venivano chiamati con disprezzo “capelloni” e che cercavano disperatamente un mezzo attraverso il quale esprimersi e dal quale potessero sentirsi rappresentati. Come ebbe a dire Gianni Milano, poeta e pedagogo attivo in quegli anni: «Tutti scrivevano, tutti. Anche ragazzi che non sapevano nemmeno leggere, scrivevano poesie». Tuttavia, il nome della rivista assurse agli onori della cronaca solo nel 1967, al suo tramonto, quando i suoi redattori presero parte al progetto della famigerata Tendopoli di Nuova Barbonia, così denominata dal Corriere della Sera -impegnato in quegli anni in una crociata politica e sociale contro i capelloni.


Oltre a Mondo Beat, altre realtà editoriali sorsero in quegli anni: Re Nudo, Tazza da tè, Paria, Omicron, Get Ready, Insekten Sekte, Iskusstvo Kommuny, Quindici, Pianeta Fresco (celeberrimo esperimento di rivista underground alla cui direzione c’erano Fernanda Pivano e consorte, l’architetto Ettore Sottsass), Arcana, Provo e Movimento Beat. Tutte erano accomunate da una solida componente politica di sinistra extra-parlamentare, da un certo gusto estetico basato sull’uso dei collages, da un linguaggio forte senza filtri né censure e dalle dichiarate velleità culturali: è qui che molti poeti rappresentanti la controcultura italiana trovarono spazio per i loro primi timidi versi.
Sebbene il paragone possa sorgere spontaneo, le riviste letterarie dell’underground italiano non avevano niente a che vedere con il celebre San Francisco Oracle: l’underground italiano intendeva affermare una propria identità, distinta e distante da quella della loro controparte americana. Le riviste italiane erano stampate su una carta spugnosa, la stessa adoperata per i samizdat russi, con l’uso di quello che spesso era l’unico ciclostile presente in redazione. Ma proprio il ciclostile fu il protagonista della controcultura italiana di quegli anni: un mezzo accessibile, facile da usare ed efficiente per la realizzazione di copertine, manifesti e volantini.


Nell’Italia degli anni Sessanta non era facile diffondere una rivista senza ricevere un foglio di via, occorreva un’autorizzazione. Quando Mondo Beat uscì col suo primo numero nell’autunno del 1966, la sua pubblicazione fu inaugurata dalla frase «Numero unico progressivo auspicato e patrocinato da Vittorio Di Russo Cittadino del mondo ciclostilista e strillone. COLLABORAZIONE APERTA A TUTTI AD ECCEZIONE DEGLI ONANISTI MENTALI» apposta sulla copertina. Autorganizzata, autogestita, autofinanziata e autorealizzata dalla sinergia di Vittorio Di Russo (reduce dall’esperienza olandese con i Provos) e Melchiorre Gerbino (tornato dalla Svezia con moglie e figli al seguito). Entrambi si ritagliarono un posto nell’ambiente controculturale del capoluogo lombardo, divenendone i capi spirituali, rispettivamente riconosciuti con i nomi di Re di Piazza Duomo e papà. Altri fondamentali componenti della redazione erano Umberto Tiboni e Renzo Freschi. La loro sede eletta era «Piazza Duomo sotto la statua del pirla a cavallo». Il primo numero di Mondo Beat, il numero 0, poté contare sulla collaborazione di Enea (artista milanese diciassettenne) per la copertina e del tristemente noto Giuseppe Pinelli per aver procurato il ciclostile e l’inchiostro grazie al supporto degli anarchici, mentre Tiboni, Gunilla Unger (moglie di Gerbino), Tella Ferrari e Gianni De Miranda erano responsabili degli articoli, del layout e dell’impaginazione.

Il numero 0 fu stampato in ottocento copie. Il secondo articolo del numero, firmato da un tale Edoardo, era un invito alla poesia, e non fu certo l’unico a trattare temi letterari: la rivista si impegnava a concedere quanto più spazio possibile all’espressione artistica che proveniva dai lettori o dagli stessi membri interni alla redazione.
Come tutte le riviste e le fanzine dell’epoca, Mondo Beat divenne famosa passando di mano in mano, partendo da Milano e finendo sfogliata dalle dita di migliaia giovani in tutta Italia.
Sette furono i numeri prodotti dalla redazione (la progressione era: 0, 00, 1, 2, 3, 4 e 5), quattro dei quali vennero sequestrati dalla polizia a causa dei loro contenuti.
L’ultimo mitico numero di Mondo Beat vide il patrocinio di Giangiacomo Feltrinelli, vicino ai movimenti controculturali ma presso i quali non godeva di altrettanto rispetto e stima: per quanto sposasse le loro istanze, Feltrinelli rimaneva un uomo di potere. Fu Gerbino il primo a contestare l’entrata a gamba tesa nella rivista del noto editore, evento che, assieme alla distruzione della realtà utopica di Nuova Barbonia, segnò la fine dell’avventura di Mondo Beat, a meno di un anno dalla sua fondazione.

I nomi dei poeti e degli scrittori ospitati fra le pagine delle riviste non hanno trovato, negli anni a venire, altre sedi. Non ne leggeremo mai sui libri di scuola, i loro versi non verranno imparati a memoria e declamati. Tuttavia, vale la pena conoscere Gianni Milano, il giovanissimo suicida Eros Alesi, Gianni De Martino, ma ancora Aldo Piromalli, Antonio Infantino, Silla Ferradini, Andrea D’Anna, Carlo Silvestro. Pochi nomi di una galassia ben più ampia ma ancora praticamente inesplorata, che hanno mosso i primi passi della loro purtroppo largamente ignorata produzione letteraria su queste riviste.

L’esperienza di Mondo Beat come uno dei pochi canali di comunicazione per i giovani italiani degli anni Sessanta merita di essere conosciuta e riconosciuta, tanto per il proprio valore civile quanto per quello culturale e letterario, sebbene non abbia ottenuto la popolarità che le sarebbe spettata di diritto, al pari dell’Oracle. Provocatoriamente, verrebbe da pensare che i nostri erano molto più underground di Kerouac e compagni!

Piccola postilla: purtroppo non è facile reperire i numeri di Mondo Beat, né delle altre riviste italiane della controcultura, considerata la tiratura limitatissima. Tuttavia, è possibile godere di qualche estratto attraverso le pagine di alcuni libri: G. De Martino (a cura di), Capelloni e Ninfette. Mondo Beat (1966-1967). Storia, immagini e documenti, Genova, Costa & Nolan, 2008; F. Schirone, I Provos, i Beatniks e l’Anarchia (1966-67), 2018; …ma l’amor mio non muore, Roma, DeriveApprodi, 2008; A. Valcarenghi, Underground… a pugno chiuso! Rimini, NdA, 2007; M. Guarnaccia, Underground Italiana, Roma, Malatempora, 2000; M. Guarnaccia, Beat e Mondo Beat- chi sono i beats, i provos, i capelloni, Pitigliano (GR), Stampa Alternativa, 2005; G. De Martino, M. Grispigni (a cura di), I Capelloni- Mondo Beat 1966-1967, storia, immagini e documenti, Roma, Castelvecchi, 1997.
Per leggere alcuni testi dei poeti su menzionati, si consiglia la lettura di I Figli dello Stupore- La Beat Generation Italiana, A. Manca, Roma, Sirio Editore, 2018.

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