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Intervista a Leonardo Taiuti – edizioni Black Coffee

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Il nostro scopo è scovare punti di vista diversi sulle tematiche più calde del momento, voci in grado di restituire una fotografia contemporanea e attuale del Nord America.

A cura di Concetta Sorvillo, allieva del master Il lavoro editoriale, 2021

Black Coffee è una casa editrice indipendente specializzata in letteratura nordamericana fondata nel 2017 da Sara Reggiani e Leonardo Taiuti. Ed è proprio Leonardo, fondatore, direttore amministrativo, traduttore e tuttofare di Black Coffee, che ci racconterà la casa editrice.

Innanzitutto, grazie per avermi permesso di entrare (purtroppo ancora metaforicamente) nella vostra casa editrice. Raccontami: qual è stata la motivazione primaria, se vogliamo chiamarla la “spinta originaria”, che vi ha portato ad aprire una casa editrice?

Leonardo Taiuti: Il nostro è stato un percorso un po’ particolare. Sia io che Sara siamo due traduttori dall’inglese e ci siamo conosciuti in Giunti. Lì abbiamo scoperto la nostra comune passione sia per la traduzione che per gli Stati Uniti. Mentre in Giunti imparavamo ad approcciare il libro attraverso il lavoro di redazione, cominciavamo anche a muovere i primi passi nello scouting per altre case editrici, rendendoci però conto che per un motivo o per l’altro non sempre andava a buon fine.

Alla lunga abbiamo capito di aver sviluppato tutte le armi giuste per muoverci da soli e proporre qualcosa di più mirato. Ci siamo licenziati e abbiamo cominciato a lavorare come freelance per una collana chiamata appunto Black Coffee per un’altra casa editrice. La collana trattava di letteratura nordamericana contemporanea e grazie a essa abbiamo consolidato il nostro lavoro come scout e soprattutto imparato cosa vuol dire gestire una casa editrice a tutto tondo. Cinque anni dopo abbiamo sentito l’esigenza di fare un passo avanti e avere la libertà di proporre quello che volevamo, muovendoci anche in direzioni diverse. Ed eccoci qua.

Alla luce del panorama editoriale odierno, considerando anche i cambiamenti causati dalla pandemia di COVID-19, cosa ti sentiresti di consigliare a chiunque voglia aprire una casa editrice?

L. T.: Il consiglio è sempre lo stesso: un progetto editoriale chiaro. Sconsiglio sempre, a meno che non si abbiano grandi risorse economiche, di sviluppare un progetto troppo generalista e pubblicare un po’ di tutto, perché poi si devono anche avere le risorse giuste per sostenerlo. Per esempio, la missione di Black Coffee è quella di portare in Italia autori nordamericani esordienti che trattino temi caldi in maniera non convenzionale. Siamo una casa editrice molto indirizzata dal punto di vista di catalogo. Ci siamo inseriti in una nicchia, ma la nicchia non vuol dire non avere la libertà di spaziare attraverso diversi linguaggi o approcci. Però è quello che può contraddistinguere una nuova casa editrice rispetto alle mille altre che aprono ogni anno.

Quali sono, a tuo avviso, le sfide più grandi che deve affrontare l’editoria di oggi?

L. T.: Credo che tutte le sfide dell’editoria di oggi siano ricollegabili a uno stesso denominatore comune: essere a passo con la modernità. L’editoria italiana è in generale ancora molto ancorata al passato, invece dovrebbe cercare di espandersi e diventare più flessibile e ricettiva ai cambiamenti. Noi stessi, per esempio, abbiamo passato il primo anno senza pubblicare e-book perché proprio non li consideravamo nella nostra idea di progetto editoriale, per farti capire quanto eravamo ingenui e chiusi. L’editoria oggi dev’essere in grado di intercettare le volontà dei lettori e trovare nuovi approcci per raggiungerli. Noi siamo stati interessati fin da subito ad aprirci a nuovi sistemi, siamo stati la prima casa editrice a dotarsi di un podcast e oggi ci dedichiamo a molti progetti collaterali, come antologie e riviste letterarie. Tuttavia tutti questi nuovi approcci devono essere costanti nel tempo e soprattutto devono seguire il flusso della contemporaneità, essere morbidi ai cambiamenti.

Black Coffee nasce come casa editrice specializzata in letteratura nordamericana contemporanea. Come avete maturato questa scelta? Soprattutto, quali sono i contributi in termini di tematiche, punti di vista e soggetti trattati che desiderate apportare alla letteratura?

L. T.: Come ho anticipato prima, sia io che Sara siamo traduttori dall’inglese oltre che appassionati viaggiatori. Gli Stati Uniti sono sempre stati una delle nostre mete preferite, di cui amiamo soprattutto scoprire ogni volta la parte più onesta, viscerale, verace. Il progetto di dedicarsi al Nord America è stato quindi quasi automatico. Soprattutto, ci interessava l’idea di dare più spazio possibile ad autori esordienti in grado di incarnare quella parte degli Stati Uniti che adoriamo: autori crudi, onesti, vivaci, indipendenti. Non abbiamo alcuna pretesa di rivoluzione, il nostro scopo è scovare punti di vista diversi sulle tematiche più calde del momento, voci in grado di restituire una fotografia contemporanea e attuale del Nord America. Questo tentativo si nota anche nel nostro interesse per la literary fiction, ossia tutto quel sottoinsieme di diari e resoconti di viaggio che in Italia non ha una collocazione precisa, ma che per noi è parte di quell’autenticità che ricerchiamo.

Attualmente Black Coffee è l’unica casa editrice a produrre podcast (“Black Coffee Sounds Good” a cadenza mensile), oltre a pubblicare ogni anno un nuovo numero della rivista letteraria Freeman’s (diretta dal poeta John Freeman) ed essere molti attivi sui social. La sensazione è che Black Coffee stia cercando di espandersi oltre i limiti dell’editoria classica per approcciare nuove forme comunicative. Avete altri progetti in mente che vadano verso questa direzione? E quanto pensate possano effettivamente contribuire ad avvicinare le persone alla lettura?

L. T.: Quello dei lettori è un problema centrale dell’editoria italiana attuale. Sappiamo già che i numeri della lettura in Italia sono generalmente molto bassi, soprattutto quelli che coinvolgono il lettore occasionale. Ecco perché, come dicevo prima, è importante avere un progetto editoriale chiaro e cercare di attirare un pubblico specifico. Non credo si debba parlare di un modo per “avvicinare le persone alla lettura”, o meglio: il problema esiste ma dovrebbe essere un lavoro sinergico, portato avanti non solo dall’editoria ma anche dalla scuola e, in generale, da un contesto culturale in cui nuovi lettori possano sentirsi stimolati. Il lettore forte in linea di massima sa già cosa vuole. Il lavoro in questo caso non è tanto quello di avvicinare un pubblico generico alla lettura, ma di intercettare il pubblico ideale e dargli ciò che vuole. E i nuovi approcci comunicativi servono soprattutto a questo: a farsi conoscere attraverso un progetto editoriale ben definito e scovarlo.

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