fbpx
Cerca

Intervista a Demetrio Paolin

Demetrio Paolin

Il tuo corso «Esercizi di scrittura. L’arte della descrizione» è in programma qui alla Scuola del libro il fine settimana del 17 e 18 marzo 2018.
Ci racconti come è nata l’idea di questo corso?

Negli ultimi due anni sono stato spesso a Roma per motivi legati ai miei libri. E tutte le volte mi sono ritagliato un piccolo spazio tempo per andare a guardare i quadri di Caravaggio. È un gesto di cui sento il bisogno: entrare in chiesa, raggiungere la cappella laterale, mettermi davanti alla Conversione di Paolo o alla Chiamata di Matteo e stare lì tutto il tempo che posso a contemplare queste due opere. Così un giorno mi sono sorpreso a fantasticare su di loro, mi sono immaginato come potesse essere descrivere questi due quadri così complessi a qualcuno che non li aveva visti. Una descrizione che facesse a meno di ogni apparato iconografico o di immagine. La parola che descriveva il gioco delle ombre, i movimenti, i gesti, i simboli e le tensioni di queste due opere d’arte. E pur avendoli osservati molte volte mi sono trovato povero di parole. E allora mi sono detto che osservare queste due opere e fare questa esperienza di povertà poteva essere un lavoro interessante per chi vuole avere a che fare con la scrittura. Mi piaceva, inoltre, l’idea di confrontarsi con la pittura perché un buon scrittore è colui che sa costruire le scene, usare i pieni e vuoti, usare la prospettiva, lavorare sulla posizione dei personaggi nello spazio. Guardare un quadro è quindi un ottimo esercizio per costruire una scena di dialogo, osservare un quadro può diventare utile per comprendere come descrivere un singolo e fermo momento temporale possa comunque produrre un racconto.

Pensi che si possa insegnare a scrivere? Da docente, cosa ti piacerebbe lasciare in dote alla tua classe?

Penso di sì, penso che si possa insegnare l’arte della retorica, che se vuoi è ben più vecchia delle moderne scuole di scrittura. Il problema è dotare gli alunni degli strumenti per dire al meglio ciò che desiderano dire o comunicare agli altri. Non si insegna il talento o il bernoccolo della scrittura, ma sono convinto che imparare a comprendere le strutture profonde della narrazione non può che essere utile. Perché imparare la retorica e la grammatica di una narrazione produce nella persona che impara una maggiore comprensione del mondo e delle cose che legge.
Cosa vorrei lasciare da docente? Beh mi piacerebbe che ogni alunno sapesse che le sue parole le ho prese a cuore, che mi sono occupato con tutta la mia distratta intelligenza della sua opera, dei suoi dubbi, che ho messo al servizio suo e della sua scrittura il mio sapere. Mi piacerebbe che si ricordasse di me come di un servo della scrittura e che pensasse che forse in quel modo qualche cosa di bello e di vero può venir messo giù in pagina.

Il tuo ultimo romanzo, Conforme alla gloria (Voland, 2016), è stato selezionato tra i dodici finalisti del Premio Strega, è arrivato finalista al Premio Tropea e ha vinto il premio «Subiaco città del libro».
Al momento stai scrivendo (o stai pensando di scrivere) un altro libro?

Sto scrivendo da circa un anno e mezzo un testo, che potrebbe sembrare – e in parte è – la riscrittura del libro biblico di Geremia. Se poi mi chiedi di definirlo, ecco non lo so. Non è un saggio, un romanzo o un memoir. Per me è una serie di prose, di racconti e di versi in cui un io narrante, fingendo di scrivere un saggio sul libro del profeta, racconta la storia tremenda di un suo lutto privato. È un testo molto diverso da Conforme, o meglio che estremizza una certa idea narrativa che in nuce era già presente nel romanzo. Se dovessi far un paragone con la musica, il mio lavoro su Geremia vorrei che suonasse simile a Kid A dei Radiohead e mi accontenterei anche di qualche copia in meno in termine di vendite rispetto a quelle di York e compari.

Condividi

Altri articoli

Facebook

[feed_them_social cpt_id=14776]

twitter

[feed_them_social cpt_id=14756]

Il nostro instagram

[feed_them_social cpt_id=14058]