Abbiamo fatto una chiacchierata con i docenti dei corsi di scrittura e di editoria per scoprire qualcosa di più sui loro mestieri, le abitudini e i maestri che li hanno ispirati. E per sapere da loro perché frequentare un corso può essere davvero utile.
Com’è iniziata la tua carriera nel mondo dell’editoria, che tipo di percorso hai fatto?
Mi sono laureata in traduzione e ho iniziato a lavorare nell’editoria nel 2011 dopo aver frequentato il Master in Editoria della Fondazione Mondadori. Ho prima lavorato come redattrice per una piccola casa editrice specializzata in narrativa dall’Asia. Da lì sono passata a occuparmi di comunicazione e organizzazione eventi per la Fondazione Corriere della Sera e per Rizzoli Galleria. Nel frattempo collaboravo con vari marchi del gruppo RCS e ogni tanto scrivevo per l’edizione online del Corriere della Sera. Cinque anni fa poi sono stata ammessa alla scuola di giornalismo de El País, dove ho lavorato alle cronache nazionali e agli esteri. Nel 2018 sono infine tornata in Italia per lavorare al Saggiatore dove per tre anni mi sono occupata della comunicazione online: una sorta di inaspettata sintesi delle mie esperienze precedenti. A marzo dello scorso anno ho poi iniziato a lavorare con funzioni analoghe per HarperCollins Italia. Continuo a scrivere, ogni tanto, per la rivista Il Tascabile.
I social media sono diventati un canale di comunicazione privilegiato per parlare di libri e attivare iniziative coinvolgenti, come l’invito collettivo lanciato sui canali social del Saggiatore per creare una raccolta di racconti. Pregi, potenzialità e difetti dei social network?
I social network sono in origine uno strumento di condivisione. Tutte le iniziative che rimandano a questa loro funzione primaria sono un modo molto efficace di creare un dialogo reale con la propria base di utenti. Questo è emerso in particolar modo durante il primo lockdown, una situazione del tutto inedita in cui era diventato impellente e doveroso mettersi a servizio delle persone perché potessero raccontarsi o leggere gratuitamente dei titoli che sceglievamo con cura per loro. I social network sono inoltre un luogo che vive di storie, esattamente come l’editoria e altri settori analoghi dell’industria culturale o dell’intrattenimento. I social hanno anche una funzione meramente pubblicitaria, ma la cosa più importante è che per la prima volta tutti i lettori, tutti, sono lì a un passo da te.
Detto questo, è sempre più evidente che il funzionamento degli algoritmi e la mancanza di una forma di controllo efficace sui contenuti porti a evidenti distorsioni. I problemi più gravi riguardano la diffusione del discorso d’odio e di notizie false, la manipolazione dei comportamenti e talvolta dell’appropriazione indebita dei nostri dati. Si tratta di una contraddizione molto difficile da risolvere perché si annida nell’origine stessa di questi strumenti: la viralità di un contenuto viene determinata dalla quantità e dalla rapidità di interazioni che riceve. In questo modo i contenuti altamente divisivi sono quelli più visti e condivisi, come un serpete che si morde la coda…
I canali social non sono usati solo dalle case editrici per parlare con i loro lettori o potenziali lettori, oggi sono molte le figure professionali, o i semplici appassionati, che utilizzano i social network per parlare di libri. Che ruolo hanno i bookinfluencer, i nuovi ambasciatori della lettura?
Sono fondamentali! In realtà tutte le persone che consigliano, fotografano o condividono le loro letture ricreano in maniera virtuale uno dei meccanismi classici della trasmissione editoriale: il passaparola, la vera goccia che scava le montagne. Perché un lettore si fida del suo editore, ma ancor di più si fida di un suo amico che ha letto un determinato titolo.
Girano di frequente i meme con le gaffe dei social media manager, di qualunque settore. Quali doti bisogna avere e quali imparare per sapere utilizzare al meglio e in modo profittevole i canali social?
Chi è senza refuso scagli la prima pietra! Io una volta, appena arrivata al Saggiatore, ho postato un’immagine che ritraeva la macchina da scrivere di William Faulkner, ma ho scritto “macchia”. E potrei citare altri casi. Purtroppo cogliere in fallo un editore, o un marchio, provoca un piacere a cui è difficile rinunciare. Le gaffe tuttavia sono inevitabili e non sono assolutamente un problema. Molto spesso ci si trova a gestire più piattaforme contemporaneamente e, nessuno ci pensa mai, ma un content editor scrive tantissimo. Per la scorsa edizione del corso ho fatto un calcolo approssimativo: ogni anno potrei pubblicare un libro di 200 pagine. Quando ci fanno notare un errore tuttavia è bene essere sportivi e andare avanti. Se si riesce a trovare un modo per riderci su, ancora meglio. L’ironia e l’autoironia sono infatti buone doti, a mio avviso in generale. Più nello specifico direi che una persona che vuole dedicarsi a questo mestiere dovrebbe essere estremamente curiosa, precisa, creativa, aperta alle nuove possibilità e ai nuovi linguaggi.
Perché pensi sia utile frequentare un corso sui social media? E perché proprio il tuo?
Mai come in questi mesi ho registrato un interesse verso le professioni legate alla comunicazione online, credo che un corso di questo tipo possa essere utile per chi vuole lavorare in questo ambito, ma anche per chi vuol fare crescere un progetto personale o vuole curiosare un po’. Io poi ce la metto tutta perché – oltre agli strumenti, alle analitiche, alla reach e alle impression – sia chiaro che in primo luogo si parla di storie e di linguaggio. In fin dei conti si tratta di chiarezza e di intenzioni. E vi prego, non mi fate andare oltre che altrimenti mi tocca coprire l’imbarazzo con una scemenza.