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Non ci si può orientare nella poesia contemporanea!

a cura di Demetrio Marra, allievo del master Il lavoro editoriale, 2021

Orientarsi nella poesia contemporanea non si può. Ma in fondo, come ci si orienta nella narrativa? Come nella saggistica? Tra i fumetti? A naso, nella maggior parte dei casi. Quante volte un libro ci ha sinceramente attratto per un incrocio di fattori, per esempio per la copertina, per l’odore, per il nome dell’autore e il titolo (mi capitò con Tapinar, L’istituto per la regolazione degli orologi, Einaudi, 2014, col blu dei Supercoralli), per la sinossi in quarta, ecc. Semplici sincrasie che non si possono spiegare. Eppure questo sembra non valere per la poesia. In generale, è vittima di una giustificatissima diffidenza.

A scuola, prima di tutto, ci insegnano a odiarla. Parafrasi (l’unico modo di rompere l’obliquità di senso che rende la poesia poesia), analisi del testo, rassegna delle figure retoriche ecc. ecc. In secondo luogo, ce ne insegnano poca e vecchia (anche se buona). I programmi scolastici – che non esistono più, by the way, ma è un argomento diverso – arrivano al massimo agli anni Sessanta o Settanta del Novecento. Ma è proprio in quegli anni che c’è un’esplosione di creatività, in Italia e nel mondo, e si affermano scrittori tra i maggiori di sempre. Affermazione iperbolica, sicuramente, che serve allo scopo. Infine, a scuola, in buonissima parte dei casi, si affronta la poesia banalizzandola, cioè riducendola alla sua componente più socialmente accettabile e ricevibile, il motivazionale, la retorica del sii te stesso; o il “poetico”, il tramonto, la riflessività pop; addirittura il “romantico”. La “buona” poesia – come l’arte, la letteratura, il cinema – non è così semplice, così pacifica: instaura una relazione problematica col mondo attraverso la lingua, la sua complessità. Allontanarsi dal discorso pubblico è il primo e forse unico modo di interrompere il principio della performance lavorativa, il principio della strumentalità, della univocità sei significati. Carmelo Bene ne parlava in termini simili: l’arte sopravvive perché è inutile.

Tornando a noi. Il cortocircuito editoriale per cui un libro di poesia non può vendere quanto un libro di prosa per me rimane un mistero. I libri di poesia sono, in tutto e per tutto, oggetti più economici. Sono più brevi, più piccoli, sono sezionabili in tante parti quante i testi in esso contenuti, cioè presuppongono un tipo di lettura “interrotta”, che bene si accosta ai nostri ritmi, anche lavorativi. Però non vende. Non è di consumo. Non raggiunge il lettore. E da qui il cortocircuito, tipico di un’economia neoliberale, che concede meno spazio alla poesia, uno scaffaletto al massimo nelle librerie, due se va bene: ma noi siamo inconsciamente abituati, purtroppo, ad acquistare prodotti solo se inseriti in un contesto di abbondanza. L’abbondanza ci rassicura (Simone Cattaneo, grandissimo poeta scomparso nel 2009, diceva in Peace & Love, uscito per Il ponte del sale, 2014: «sono pronto a farmi saltare carico di esplosivo in una chiesa / in una moschea o in qualsiasi luogo di culto, supermercati compresi». Ecco che l’estetica “barocca” dell’immaginario ecclesiastico si ripete altrove).

La ragione è che è difficilissimo smontare il pregiudizio di noia e difficoltà che ci è stato, volontariamente o meno, insegnato. Anche perché la poesia è, di fatto, in media più “oscura” della prosa, e mette in deroga l’idea di intrattenimento che in realtà sta alla base della maggior parte delle scritture. Questa oscurità però è questione di linguaggio, di topoi, di convenzioni. La forma poetica ha delle coordinate che possono essere comprese soprattutto attraverso l’esperienza diretta di lettura. Per fare un esempio che mi sembra chiarisca il punto: leggere in lingua inglese è un’operazione molto simile alla lettura di un libro di poesia. In entrambi i casi, ci è stata insegnata la “grammatica”, e anche la tradizione letteraria. Però immergersi nel testo è tutt’altra roba e ha bisogno di pratica. Ecco, leggere poesia è facile, dopo un po’, ha semplicemente bisogno di esercizio. Da cosa cominciare?

Le antologie scolastiche e non

Prima di tutto, leggere (o ri-leggere, con occhi vergini) la poesia novecentesca è un presupposto inevitabile. Un consiglio, en passant, è quello di affrontare i giganti, su tutti Eugenio Montale, semplicemente perché è soglia di sbarramento di ogni altro poeta dopo di lui. Autore tutt’altro che del solo Ossi di seppia – a dire la verità, per me meno significativo.
Vi giro il consiglio che mi diede Andrea De Alberti (il suo ultimo libro è La cospirazione dei tarli, per Interlinea nel 2010): prendi un’antologia scolastica, qualsiasi, leggi solo i testi, di fila. Lontani da quell’avvicinamento rituale a cui siamo abituati, lasciate che vi parli direttamente il testo. Vi accorgerete di affinità e idiosincrasie, che potete impegnare e approfondire oppure abbandonare. Per esempio, io ricordo che mi piacque moltissimo Clemente Rebora, autore di primo Novecento:

C’è un corpo in poltiglia
con crespe di faccia, affiorante
sul lezzo dell’aria sbranata.
Frode la terra.
Forsennato non piango:
affar di chi può, e del fango.

(da Voce di vedetta morta, in Frammenti lirici, 1913)

Poi in realtà non l’ho mai letto davvero. Mentre non capivo, quasi mi innervosivano Ungaretti e Quasimodo. Col tempo si ha l’opportunità di rileggere, di riconsiderare e di rivalutare. Ad ogni modo, va nella stessa direzione la lettura di antologie. La possibilità di avere e spiluccare, con un profilo critico velocissimo, i migliori o più riusciti versi di un poeta è un enorme vantaggio (ma tenendo sempre a mente che sono frutto del gusto del curatore, e quindi sono, per natura, parziali).

Per tutto il secolo, direi quella di Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento (prima edizione del 1978, ripubblicata recentemente dagli Oscar Mondadori); o quella in più volumi curata da Edoardo Sanguineti, Poesia italiana del Novecento (Einaudi, 1968).
Di Antologie, comunque, ce n’è per tutti i gusti: quella che più consiglio per comprendere il contesto secondo novecentesco e contemporaneo è Dopo la lirica. 1960-2000 di Enrico Testa, pubblicata per Einaudi nel 2005 nella celebre «Collana Bianca».

Avere fede nelle collane

Le collane, appunto. La cosiddetta «Collana Bianca», in realtà «Collezione di Poesia» viene lanciata nel 1964 ed è imprescindibile. Al suo interno (link qui di tutti i titoli) trovate grandissimi autori stranieri e italiani. In teoria, rovistarci, lasciandosi travolgere da quell’aurea di classicità che emana, dovrebbe essere una certezza. Per me, imprescindibili dalla collezione, tra gli storicizzati, sono Raffaello Baldini, La nàiva. Furistír. Ciacri. Versi in dialetto romagnolo (2000); Tutte le poesie di Giovanni Raboni (2014) e i Poemetti di Ottiero Ottieri (2015).

Tra i contemporanei, la collana vanta Valerio Magrelli, Patrizia Cavalli, Patrizia Valduga, Fabio Pusterla, Aldo Nove e tantissimi altri. Andando verso lo storico competitor della Bianca – ma ormai sua proprietà, di fatto – c’è la collana di poesia «Lo Specchio», di Mondadori. Nata nel 1940, ha pubblicato da subito autori in predicato di diventare classici, come Vincenzo Cardarelli. Poi cavalli di razza quali Andrea Zanzotto, Giovanni Giudici, Leonardo Sinisgalli, Franco Fortini. Nelle sue uscite più recenti ha Maria Grazia Calandrone, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Franco Buffoni… ma interrompo la lista. Il punto è che attraverso queste collane si possono apprezzare, con buona approssimazione al valore, i migliori libri di poesia.

Sono le due collane storiche che ancora sopravvivono. Va da sé che è impossibile tener conto di tutto ciò che esce. Editori big che si occupano di poesia diversamente, intendo dire senza progettualità nei confronti della poesia contemporanea o con obiettivi più “commerciali” (lato sensu), sono Feltrinelli, Garzanti – con la serie Gli Elefanti, alternativa economica ai più neoclassici Meridiani, e prendetevi Amelia Rosselli, fatevi un favore:

C’è come un dolore nella stanza, ed
è superato in parte: ma vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita.

(Da C’è come un dolore nella stanza, in Documento (1966-1973), Garzanti, 1976)

–  Rizzoli, Il Saggiatore, che tra l’altro sta ritraducendo i classici, per esempio La terra devastata, non più desolata, di T.S. Eliot, per le mani di Carmen Gallo, ottima poetessa. La nave di Teseo, editore indipendente già tra le major, ho l’impressione stia puntando alle vecchie strategie Bompiani – che nel frattempo si dedica alla poesia internazionale coi CapoVersi –, per cui pubblica sia autori italiani sia esteri (segnalo Anne Sexton, Il libro della follia, 2021), setacciando un immaginario per fortuna non sovrapponibile con gli altri editori. Anche Donzelli non scherza, così Nottetempo, Quodlibet, Luca Sossella (che ha in catalogo l’opera quasi-omnia di Carlo Bordini). Però andiamo avanti.

Editori di poesia, principalmente

Già a questo punto dell’articolo avrete speso tempo e denaro sufficiente. Direi almeno una decina d’anni di poesia. Come per la narrativa, diversamente da una certa saggistica, però, la poesia non deve essere consumata in serie, non ha una necessità cronologica particolare, per cui Eugenio Montale può leggersi anche dopo trent’anni di poesia russa contemporanea. Lasciatevi guidare dal gusto, mettetelo anche in discussione, ma uno dei modi più “facili” per non annoiarvi è non aver paura a rifiutare, rigettare, passare oltre anche ai classici.

Sì, ci sono antologie di poeti contemporaneissimi. Ecco la serie della Marcos Y Marcos (eccellente, tra l’altro, anche nella collana «Le Ali» e nei recuperi, con Ferruccio Benzoni ad esempio o Luigi Di Ruscio) dei Quaderni di poesia contemporanea: un comitato di poeti-critici (Buffoni, Pusterla, Umberto Fiori e Massimo Gezzi) più gli editori scelgono sette poeti ogni biennio che possano essere rappresentativi (ma il margine d’errore c’è, ovviamente) della contemporaneità. I Quaderni hanno lanciato, come si può immaginare, poeti eccellenti. Si presentano con una silloge massiccia introdotta da una nota critica. Un modo anche per vedere il fieri dei lavori.

Ma ci stiamo davvero dilungando – per dire quanto ogni discorso seriamente orientato sulla letteratura prenda molto tempo, molte energie. Vado più di fretta: in qualche modo “parallelamente” ai Quaderni, per la continuità data da Franco Buffoni, la collana «Lyra giovani» di Interlinea, editore tra l’altro anche di grandi autori più maturi.

La generalista Interno Poesia pubblica autori contemporanei italiani nella collana «Interno Libri», spuntata con due antologie (del 2019 e del 2020, a cui seguirà una terza) Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90, a cura di Giulia Martini, che hanno tra le altre cose il merito di essere agevolissime. Nata come blog (che vi consiglio di seguire, una poesia al giorno può servire benissimo a questa vostra, complicata, campagna di orientamento) sta conquistandosi spazio, con un’operazione di riscoperta dei classici (esempio Corazzini e Gozzano) e con la pubblicazione anche di autori stranieri.

Interessante la recente Industria&Letteratura, che ha pubblicato gli ottimi Palma, Pelliti, Santi (già finalista al Viareggio) e Frolloni.

Lirica e ricerca: dentrofuori la poesia

Il punto è che nell’ambiente della poesia non si è lontani da fratture, che un po’ attraversano ogni epoca (un tentativo recente per chiarire la questione qui). E allora è chiaro che, se si dà il recto, bisogna dare il verso (montalianamente, cioè dialetticamente). Più si va verso un certo polo di ricerca, cioè di poesia più “problematica” – non trovo le parole giuste! – meno assertiva, anche, più ci si allontana purtroppo dal pubblico, penso involontariamente. Editori indipendenti che hanno una distribuzione minore non vanno in nessun modo ignorati, perché senza di loro l’immagine della poesia è assolutamente univoca, insufficiente, assoluta. Di tutta l’erba un fascio, ma quanta diversità, veramente: Arcipelago Itaca, Argo (che sta recuperando il grande Corrado Costa), Benway Series (fresco di stampa il libro di Marlene NourbeSe Philip ZONG! Come narrato all’autrice da Setaey Adamu Boateng.), IkonaLiber, Tic Edizioni… quest’ultima, coi suoi Chapbooks, Ultrachapbook e Legend sta facendo un lavoro eccelso. Penso a Prosa in prosa, volume davvero leggendario (turning point alla prima edizione del 2009 e ripubblicato quest’anno), in cui non solo si è problematizzata la differenza tra prosa e poesia, ma anche gli statuti interni di ognuno. Un autore di Tic che io apprezzo molto è Gherardo Bortolotti: i suoi Low. Una trilogia (uscito nel 2020 ma che raccoglie libri già editi) e Storie del pavimento (2018) mescolano fantascienza, fantasy e narrazione alienante da antropocene consapevole che in molti modi ricordano le soglie difficili del contemporaneo. C’è anche il Romanzetto estivo (2021) ma è un’altra storia.
Amos27 ha pubblicato un libro che per me, anche solo per il concept, dovrebbe vendere migliaia di copie, Fly mode di Bernardo Pacini (autore anche di un libro sui Pokèmon La drammatica evoluzione, 2016), in cui l’io lirico è un drone.

Quasi dimenticavo Manni e Crocetti, ma cambiamo paragrafo.

Riviste di poesia cartacee e online

Siamo verso la conclusione. Anche se ogni riga che passa mi sembra di lasciar fuori troppo, per cui vi chiedo, così schizofrenicamente, di rifiutare anche i consigli di questo articolo, di impegnare, con spirito critico, qualsiasi itinerario. Manni pubblica, oltre a diverse raccolte, anche una rivista, L’immaginazione, storica. Crocetti si è recentemente data a Feltrinelli, mantenendo la sua identità, con un rilancio. La rivista Poesia, anch’essa storica, lascia l’edicola per la libreria. E pubblica autori, spessissimo in traduzione, che altrimenti mancherebbero in Italia come il pane. Seguire le riviste di poesia può essere un modo eccellente di orientarsi a costo zero, soprattutto se parliamo delle online. Cominciare l’ispezione prima della passeggiata in libreria. Nuovi Argomenti vive ancora sia cartacea sia online. E quindi Le parole e le cose (al quadrato, per il nuovo ciclo) e tantissime altre, Doppiozero, Formavera, Poetarum Silva, Poesia del Nostro Tempo, Polisemie, lay0ut, Lampioni aerei… molto spesso, al loro fianco, delle associazioni culturali che agiscono sul territorio (per questo, darei uno sguardo anche ai Centri di Poesia, problematicamente).

Quanti discorsi potrebbero farsi sulle riviste che ci dànno una finestra sulla poesia estera, e sugli editori? Tra tutti Black Coffee opera nell’ambito dell’americanistica in modo assolutamente decisivo. Ma se volete andare alla sorgente c’è Poetry Foundation, una risorsa organizzatissima per tutta la poesia in lingua inglese.

E ancora, prima di essere tacciato di conservatorismo, non dimentichiamo altre forme di fruizione della poesia, in salsa performativa. Ecco tutto il “sistema” dello Slam Poetry – che ha davvero successo e mescola le istanze del parlato, anche del rap, del teatro e della poesia – delle istallazioni, oppure, in fase sperimentale, la piattaforma Howphelia (che ha una parentela con Ophelia Borghesan, creatura partorita da Luca Rizzatello, former publisher della bellissima Prufrock, e Angela Grasso), la quale riunisce autori di provenienza molto differente sotto il grande contenitore della video arte (? M’interrogo perché è ancora complicato da dire, vi consiglio la visione diretta).

Ora che ci penso

È vero, è impegnativo. Più di molta altra scrittura, la buona poesia tiene tesissimo il filo del discorso. In altre parole: non è immediata, ma cosa c’è di immediato, nel mondo? Ben poco, e c’è molto, mi sembra, di inconoscibile attraverso le scienze, dure e molli che siano, attraverso la filosofia, la sociologia, la psicologia. Perché ha il vantaggio, la poesia, di sospendere il giudizio sul senso. Almeno, Deo Gratias. Chiudo con Giorgio Caproni:

Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos’è, nella sua essenza, una rosa.

(Da Concessione, in Res Amissa, 1991)

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